Recensione – Non si sevizia un paperino (film)
1972
102 min
Tomas Milian
Barbara Bouchet
Florinda Bolkan
Lucio Fulci
Non si sevizia un paperino è un film del 1972 diretto da Lucio Fulci. Film uscito dopo la controversa commedia “Nonostante le apparenze… e purché la nazione non lo sappia… All’onorevole piacciono le donne“, pellicola ritirata e sottoposta ad una forte censura.
Fulci torna quindi, dopo questo spiacevole episodio, a dirigere un thriller, genere che aveva già sperimentato con “Una lucertola con la pelle di donna“.
Il film, il preferito anche dello stesso regista, è un capolavoro di struttura narrativa, regia e musiche. Sicuramente una delle pellicole più interessanti della storia della cinematografia italiana.
Il film si apre con un bellissimo paesaggio montano intervallato a tratti dall’autostrada. In sottofondo un canto popolare, quasi rituale.
Siamo nel paese di Accendura (luogo immaginario), in Basilicata, la cui quiete provinciale è scossa dalla scomparsa di tre bambini. Le forze di polizia, insieme anche al giornalista Andrea Martelli (Tomas Milian) indagano su queste sparizioni.
Per la trama completa vi rimandiamo alla pagina Wikipedia del film.
Questi avvenimenti animano tutta Accendura. Infatti è proprio il paese il vero protagonista della vicenda, la cui presenza e assenza sarà fondamentale per la trama del film.
La colpa dei delitti ricade prima sullo scemo del paese, che si rivela innocente, poi sulla maciara (maga), che non fa una bellissima fine, e infine sulla “nuova arrivata”, una giovane ragazza interpretata dalla stupenda Barbara Bouchet.
Il tema della paura del diverso è molto presente in questo film. Il diverso fa paura, è da evitare, il paese si stringe attorno alle vittime puntando il dito su quelli che non fanno parte della loro comunità.
La superstizione è anche un grande tema affrontato all’interno di questo film. Le credenze popolari portano alcuni personaggi a compiere azioni disdicevoli. Emblematica la frase pronunciata da uno degli investigatori: <<Abbiamo costruito le autostrade e non siamo riusciti a vincere l’ignoranza, la superstizione>>.
Dal punto di vista registico troviamo un Fulci che sperimenta, si passa da scene ampie che riprendono paesaggi all’angusto ufficio della caserma dei carabinieri. Interessanti le scene in cui la macchina riprende il punto di vista di uno dei personaggi, come nella scena dell’interrogatorio della maciara.
Un film con una carica di suspense esagerata e un finale a dir poco inquietante. Particolare attenzione meriterebbe la scena di nudo famosissima di Barbara Bouchet, ma non è questo il luogo.
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